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Immergiamoci: un tuffo sulla Cassini

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28 febbraio 2017 – IMMERGIAMOCI: UN TUFFO SULLA CASSINI

RACCONTI D’IMMERSIONE TECNICA ALLA SCOPERTA DI UNO DEI POCHI RELITTI DELLA GRANDE GUERRA NEL MEDITERRANEO UTDITALIA

Un’immersione sulla nave francese affondata quasi cento anni fa nelle Bocche di Bonifacio. Un relitto che pochi hanno visitato, carico di storia ma anche di mine, e con una inconfondibile prua che affiora dalla sabbia del fondo. Saltò in aria nel 1917 trascinando con sé 105 marinai e il comandante, il Capitano di fregata Charles Lacaze.

Il mare era un olio, come raramente capita. Eppure ci stavamo dirigendo nel mezzo delle Bocche di Bonifacio, tra Sardegna e Corsica, zona di venti, di correnti, di maestralate che spesso imbiancano il mare. Invece, per nostra fortuna, la giornata si stava rivelando perfetta. Eravamo lì per immergerci sulla Cassini, una nave posamine francese affondata nel lontano 1917, durante la Prima guerra mondiale. La Cassini, uno dei pochissimi relitti conosciuti della “Grande Guerra” nel Mediterraneo, era stata ritrovata da poco tempo ed era ancora sufficientemente ben conservata nonostante i quasi cento anni passati sott’acqua. Un relitto sul quale pochissimi sono potuti scendere sia per le difficoltà tecniche, data la profondità di 75 metri, che per la collocazione al limite delle acque territoriali italiane, in un punto di intenso traffico marittimo e per questo formalmente vietato alle immersioni.

L’idea di scendere sulla Cassini era venuta in mente già qualche mese prima ad Andrea Cappa e a Simone Nicolini, i due Regional manager per l’Italia di UTD, la nuova didattica subacquea americana, e l’occasione si era presentata durante la Technical week UTD organizzata nel maggio 2015 a Poltu Quatu, in Sardegna, presso la struttura di Orso Diving. Ed era stato proprio Corrado Azzali, patron del diving sardo, ad occuparsi di tutta l’organizzazione, comprese le necessarie autorizzazioni della Capitaneria di Porto dell’isola di La Maddalena.

Di buon mattino, carichiamo sull’Orso Cat, il veloce catamarano da 12 metri del diving, tutto il “bombolame” necessario, che non è poco: per ciascuno dei tre subacquei che si immergeranno, un bibo da 18 litri caricato con Trimix ipossico 15/55 e tre decompressive, rispettivamente con Helitrox 35/25, Nitrox 50 e ossigeno puro. Inoltre, per eventuali emergenze, altre bombole saranno calate in mare agganciate alla stazione decompressiva a due livelli che Luca Magliacca, responsabile di Orsodiving per le immersioni tecniche, metterà in acqua per facilitare la decompressione.

Quaranta minuti di navigazione e giungiamo sul posto. Per mezzo del GPS e dell’ecoscadaglio, la ricerca del relitto è questione di pochi minuti: appena le tipiche “creste” appaiono sullo schermo dello strumento, Luca lancia il pedagno marcando il punto e siamo subito tutti in acqua. Un rapido check-dive e iniziamo la discesa lungo la cima del pedagno; la corrente è piuttosto debole, ma se anche dovesse aumentare potremmo contrastarla con i nostri scooter.

Già a circa 35 metri cominciamo a vedere una massa scura, lì in basso. L’acqua è limpidissima e quando, dopo pochi secondi, riusciamo a cogliere con lo sguardo l’intero relitto, ci rendiamo conto che l’unica parte praticamente intatta è la prua con la sua stranissima forma a falce che avevamo già notato nelle fotografie storiche, mentre il ponte della nave, devastato da una serie spaventosa di esplosioni, è staccato dalla prua e pieno di rottami contorti.

Mentre planiamo sul fondo a poco più di 70 metri non possiamo non pensare alla tragedia che si è compiuta quasi un secolo fa, quando una mina tedesca, o forse un siluro, colpì la Cassini facendo esplodere anche tutto il carico di mine che la nave trasportava, ed uccidendo in pochi minuti ben 106 dei 140 membri dell’equipaggio. Ci soffermiamo sulla prua sulla quale è appoggiata ancora una grossa ancora, e ci accorgiamo che dal lato della chiglia la corrente dominante da Maestrale, di solito piuttosto sostenuta, ha accumulato negli anni una grande duna di sabbia, mentre dal lato opposto il fondale è fortemente scavato a causa del risucchio. Trascinati dagli scooter, esploriamo il resto del relitto: si intravedono alcuni dei cannoni di cui l’unità era dotata, un argano, ma il ponte è stato completamente sventrato dall’esplosione. Tra la devastazione svetta uno dei bracci che sostenevano le scialuppe di salvataggio, sul quale sono rimaste impigliate delle reti da pesca. Vediamo parecchi particolari ma non tocchiamo nulla: per rispetto, non solo perché la legge lo vieta.

Ma, nonostante la tragedia, il mare ha trasformato il relitto in un luogo pieno di vita, di gorgonie, di alcionari e perfino di bellissimi Astrospartus, le “stelle gorgoni” che a questa profondità, grazie alla scarsa illuminazione, prosperano, mentre tutto il relitto è avvolto da una nuvola di Anthias che brillano del loro rosso fiammeggiante sotto i fasci delle nostre lampade.

I venticinque minuti di fondo concessi dai nostri apparecchi a circuito aperto finiscono quasi all’improvviso quando Andrea, che guiderà la risalita, ci chiama portandoci verso il primo deep stop a 51 metri. Settantacinque minuti di decompressione, pianificati con la Ratio Deco UTD, non sono certo pochi, ma durante le soste ripensiamo allo spettacolo al quale abbiamo avuto il privilegio di assistere.

E appena fuori dall’acqua, tolti gli erogatori di bocca, ci diciamo all’unisono: “Ragazzi, dobbiamo tornarci!”. In omaggio ai caduti di questa grande tragedia del mare.

Manuele Berlanda
Andrea Cappa
Simone Nicolini

 

La nave Cassini in breve
Costruita nel 1893 in un cantiere francese nei pressi di Le Havre, in Normandia, la nave Cassini fu dapprima classificata come “aviso-torpilleur”, in pratica equivalente alla nostra cacciatorpediniera, e poi adibita a posamine nel 1912. Nel ‘700 e nell’800, prima dell’invenzione della radio, nelle marine spagnola e francese erano denominate “aviso” le navi veloci che trasportavano dispacci tra le varie unità delle flotte, poi adibite alla difesa dei convogli di navi militari dagli attacchi nemici.

La Cassini deve il nome a Giovanni Domenico Cassini, scienziato e insigne astronomo del ‘600 di origine italiana, poi naturalizzato francese. Lo scafo, lungo 81 metri, era studiato per la velocità: dotato di un particolarissimo profilo della prua, era capace di raggiungere una velocità di crociera di 21 nodi sotto la spinta di due motori a vapore alimentati da otto caldaie, che producevano una potenza totale di 5.200 cavalli. L’equipaggio era di 140 marinai e l’armamento era costituito da un cannone da 100 mm, tre da 65 mm, quattro da 47 mm, e da tre tubi lanciasiluri. Della stessa classe facevano parte anche la D’Ibreville e la Casablanca, quest’ultima affondata durante un’operazione bellica nel giugno del 1915 nei pressi di Smirne, in Turchia.

Dal varo, nel giugno del 1894, fino al 1900 i porti d’armamento della Cassini furono prima Cherbourg, poi Brest. Particolare curioso: nel 1901 fu usata a Dunkerque come nave di rappresentanza durante la visita in Francia dello zar Nicola II e della sua consorte, l’imperatrice Alexandra Fedorovna.
La Cassini fu poi spostata in Mediterraneo dove, dopo essere stata impegnata lungo le coste del Marocco, fu adibita a nave posamine nel 1912: aveva la capacità di trasportare ben 97 ordigni. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, nel 1914, fu messa a difesa delle Bocche di Bonifacio, tra Sardegna e Corsica, per tentare di sbarrare il passaggio ai sottomarini tedeschi e l’anno successivo si incagliò con le eliche nelle barriere antisommergibile di una base francese, tanto che per liberarla fu necessario ricorrere ai palombari.
Le circostanze dell’affondamento non sono tutt’ora certe. La notte del 28 febbraio 1917 la Cassini, forse colpita da un siluro lanciato dal sottomarino tedesco UC 35, o urtando contro una mina rilasciata da un altro sommergibile, saltò in aria improvvisamente insieme al suo carico di esplosivo, ed affondò in pochi minuti dopo aver subito anche molti colpi di mitraglia da parte dell’unità nemica che l’aveva colpita. Su 140 marinai, morirono in 106, compreso il comandante, il Capitano di fregata Charles Lacaze.

Nel 1919, a guerra terminata, l’equipaggio della Cassini ricevette un encomio militare solenne per il coraggio dimostrato durante l’affondamento.

Si ringrazia Jean-Pierre Joncheray per le informazioni storiche e le foto d’epoca della nave Cassini